Il pacco è arrivato due giorni dopo.
Semplice nell’aspetto – ma elegante.
Niente logo chiassoso. Niente confezione appariscente.
Solo un momento silenzioso,
racchiuso in una scatola.
L’ho nascosto in camera da letto.
Ho aspettato il momento giusto.
È arrivato prima del previsto:
un sabato di pioggia.
I bambini dai nonni.
La pioggia che batteva contro i vetri.
Dentro: luce calda. Candele. Due calici di vino rosso.
Ho preso la scatola.
L’ho poggiata sul tavolo.
Ho detto solo: “Questo è per te.”
Lui è sembrato sorpreso.
Un po’ perplesso.
Poi ha aperto con calma la scatola.
Prima il certificato. Poi la mappa stellare.
Le sue dita sfioravano la carta –
come per voler toccare il dono.
Poi ha letto la dedica.
L’ho osservato.
Ho visto la fronte rilassarsi.
Le labbra cercare parole – ma non trovarle.
Gli occhi diventare lucidi.
Ha appoggiato con cura la mappa sul tavolo.
Mi ha guardata. A lungo. In silenzio.
Poi si è alzato.
È venuto da me.
Mi ha abbracciata –
forte, come non succedeva da tempo.
E ha sussurrato solo:
“Un regalo così non l’ho mai ricevuto.”
Siamo rimasti così a lungo.
Senza musica. Senza rumori.
Solo la pioggia là fuori. E il nostro respiro.
E io ho capito: era arrivato.
Non solo il pacco – ma il messaggio.
Quel silenzioso:
“Ti vedo.
Mi ricordo.
Ci sono.”
Da allora qualcosa è cambiato.
Niente gesti eclatanti. Nessun dramma.
Ma una nuova, silenziosa vicinanza.
Quando la sera usciamo in veranda,
a volte prendiamo il telefono,
apriamo l’app e cerchiamo la sua stella.
E quando la troviamo,
a volte lui dice solo: “Eccola.”
E io so cosa intende.
Senza che lo dica.